Sembrerà contraddittorio, ma la vita e la morte non sono in antitesi, non foss’altro perché senza la stessa morte non potremmo dirci vivi.
E se è vero, ma non dimostrato, che si vive una volta sola, meglio allora non perdere l’occasione e predisporsi al meglio per il momento dell’inevitabile dipartita: del resto, volendo credere in un aldilà, non sarebbe per niente male constatare – Il libro tibetano dei morti ci insegna che c’è un momento in cui l’anima dopo la morte resta cosciente, prima di essere assorbita nel ciclo delle rinascite – che le proprie disposizioni siano state rispettate fino in fondo, come richiesto.
Ora, Funerali preparati, di Marco Taddei e Michele Rocchetti, pubblicato da Quinto Quarto Edizioni, dopo aver visto la luce – no, non è una contraddizione nemmeno questa – qui da noi di Società Editoriale Grafiche AZ, non giace propriamente nello stesso filone letterario del Bardo Thodol, e poco importa: quante altre volte vi capiterà di leggere le parole di un… cimitero? E le disposizioni di un frate che indovinava? E quelle di un costruttore di labirinti?
Siamo di fronte a una Spoon River di casa nostra, per così dire, e ce n’è per tutti, prova ne siano anche le ultime volontà di un gatto e di un robot.
A ben vedere un insieme a dir poco variegato, che – guarda caso – si uniforma nella prospettiva della morte: chiunque – a prescindere dalla propria estrazione sociale, perché si sa: la morte è una livella –, a quanto pare, ha qualcosa da chiedere prima del saluto dei saluti.
Funerali preparati è “un tributo a quanto di pacificante e straniante si può trovare nelle dimensione sepolcrale, dove l’ombra profuma di resina e la luce di crisantemo”, chiariscono gli autori.
Un albo illustrato in cui, dopo aver fatto visita “come pellegrini curiosi” a tanti piccoli cimiteri di provincia, Marco Taddei e Michele Rocchetti non lesinano in ironia, anzi. Il che è tutto dire, almeno nella misura in cui dissimula tragedia e disperazione.
E quindi, tra le tante, veniamo a conoscenza delle disposizioni di un filosofo, “se qualche scuola è stata fondata a mio nome, chiamate le autorità e fatela chiudere. Non usate mai violenza, i vostri gesti non dovranno essere di censura o repressione, ma di chiarimento”, e di quelle di suor Norina, che prende a esempio la madre fondatrice Santa Velenosa, “io, come lei, vorrei fare cosa diversa della mia vita proprio alla fine di essa, e quindi chiedo di avviare, con i soldi delle elemosine degli ultimi anni, un postribolo, un lupanare, un casino o come dire si vuole”.
È bene, però, che anche l’ospite, di certo autorevole, dica la sua, “un buon cimitero sa che deve starsene appartato come un ragno nel buco. Sa che nessuno ha voglia di visitarlo perché tutti, prima o poi, lo visiteranno definitivamente. Eppure, bambini ricordo di averne visti tra le fughe delle cappelle: chi arpionando un nero scarabeo, chi scartando una caramella che gli era stata promessa se accompagnava le zie e la mamma a fare visita alla tomba del nonno”.
Funerali preparati è anche onesto, coerente, si presenta in bianco, nero, viola e oro, in una grafica essenziale, comunque curatissima, ed efficace: in fondo, perché portarsi dietro inutili orpelli? Non ci si sta lasciando tutto alle spalle?
E se mai dovesse servire, ecco un modulo, semplice e immediato, su cui appuntare le proprie disposizioni, magari dopo aver letto il testo di Giorgio Manganelli, su letteratura e morte via Jorge Luis Borges: potrebbe fornire qualche indicazione utile, e ultima.
Ma – vien da pensare – non è che scrivere e raccontare di tante, diverse, disposizioni post mortem nasconda una grande, sonora risata nei confronti della vita e dei suoi affanni, destinati, prima o poi, lo si voglia o meno, a dissolversi?
Sia come sia, vale eccome la pena – appunto – leggere Funerali preparati: i sorrisi che ci regala donano anche l’impressione che stiano spostando di volta in volta almeno un po’ più in là la nostra disposizione finale.
Beh, non pensate anche voi che sia il caso di approfittarne?