Leonardo Aldegheri: Con questa intervista desideriamo parlare di miglioramento personale e professionale all’interno dell’azienda, temi cari a Sebastiano Zanolli, con il quale collaboriamo ormai da oltre 10 anni, e altrettanto cari a noi di Grafiche AZ, che desideriamo proporci anche come hub editoriale, con un piglio sì imprenditoriale, ma capace di offrire una panoramica completa del settore, tentando, per quanto possibile, di ampliarne gli orizzonti.
L’idea dell’intervista è quindi quella di vivere l’editoria da versanti diversi, dalla parte dello scrittore, dalla parte dell’editore, e anche dalla nostra, perché noi di Grafiche AZ trasformiamo il lavoro di entrambi in prodotto fisico, stampando il libro. Versanti diversi ma uniti dallo scopo comune di contribuire alla diffusione della conoscenza. Quindi il mio obiettivo da imprenditore di un’azienda tipografica è quello di elevare l’idea della tipografia stessa a grande contributore della diffusione della conoscenza, al pari dell’editore, perché il libro è al tempo stesso il suo contenuto e il suo contenitore, quello che leggi e quello che tieni in mano.
E a questo punto direi di partire con la prima domanda: Sebastiano, ci conosciamo ormai da parecchio tempo. Sei un uomo d’azienda, un formatore e anche uno scrittore. Come vedi l’editoria del futuro, che tipo di interazioni vedi tra editore e autore, e tra autore e pubblico?
Sebastiano Zanolli: È una gran bella domanda, e io che non sono un esperto di editoria posso darti il mio punto di vista da scrittore e lettore… Intanto non sono uno scrittore di professione, quello che scrivo è propedeutico e strumentale alla mia attività di advisor, formatore, speaker, consulente: approfondisco argomenti, la mia è una produzione di tipo manualistico, con qualche sortita nella narrativa, però sostanzialmente scrivo su come cercare di risolvere i problemi che si profilano. Come tanti altri settori, anche l’editoria si trova di fronte a un bivio, e deve necessariamente scegliere che tipo di utilità fornire sia ai lettori che a chi crea i contenuti: esistono ormai molti strumenti che in qualche modo imitano il lavoro dell’editoria, senza realizzare fisicamente il prodotto, ovvero i libri – ci sono però certi servizi, come il Print on demand, messi a disposizione da alcune piattaforme che ti danno anche il libro –, e per tal motivo quindi credo che il futuro dell’editoria passi attraverso una serie di domande che gli editori stessi devono porsi, come, per esempio, qual è esattamente il mio valore aggiunto? Giusto una settimana fa sono stato contattato da una persona giovane che mi chiedeva consigli, avendo deciso di pubblicare il suo primo libro… Mi raccontava che alcuni editori gli avevano detto guarda, io ti posso pubblicare il libro se mi paghi, ed è chiaro che poi questa stessa persona arrivi a chiedersi ma esattamente l’editore a che cosa serve?, e di conseguenza andrà in cerca di una tipografia che gli possa fare il lavoro di cui ha bisogno.
LA: Sì, perché l’autore diventa il cliente oltre che l’autore, si spersonalizza…
SZ: Esattamente, e in sé non è un dramma, e questo non significa che io abbia una visione ortodossa della questione, ma al cliente bisogna dare un reale valore… Io il mio libro non lo distribuisco perché non ho una rete di vendita, non lo promuovo perché non ho le connessioni; e quindi la domanda che mi pongo è ma esattamente tu che cosa mi dai? Ecco perché decido di rivolgermi a una tipografia, vengo magari da te, realizzo il libro e lo distribuisco per conto mio. Anche se c’è un’altra domanda da farsi, io, scrittore, qual è il valore aggiunto che offro? L’Italia è un Paese di scrittori bravi e meno bravi, ed è diffusa l’ambizione di scrivere e vedersi pubblicati… In ogni caso credo che il futuro dell’editoria passi per una polarizzazione, come spesso capita di sentire in molti altri casi, con a un estremo gli editori di nicchia, specializzati, che rappresentano la parte virtuosa, capaci come sono di aggiungere valore al loro lavoro, attraverso correzioni, promozioni e messa in evidenza del prodotto, e con all’altro estremo i grandi agglomerati, molto più pop, la cui abilità è quella di entrare nei più fini canali di distribuzione…
LA: Hai dato l’imbeccata alla domanda successiva… Mi fai pensare come i prodotti che noi realizziamo, i libri, in realtà siano servizi editoriali che noi offriamo agli editori, e come in realtà ci siano tanti autori che si propongono a noi per prodursi il libro in autonomia: da autori diventano quindi nostri clienti, perché, si dicono, il libro me lo faccio da me, risparmio e riesco comunque ad arrangiarmi… E noi di Grafiche AZ gli diamo anche la possibilità di usufruire del nostro servizio di distribuzione su Amazon, per esempio, proprio noi che fabbrichiamo le scatole, per così dire, nelle quali inserire i contenuti dell’autore…
Quindi la domanda che ti faccio è: che importanza hanno anche coloro che fabbricano i contenuti, oltre al crearli?
SZ: Ti riferisci al lavoro della tipografia, della legatoria… Beh, vestendo i panni dell’autore, o della casa editrice, o di entrambi, mi vien da dire che ci troviamo di fronte a grandi bivi polarizzanti, come del resto attualmente accade in tutti i settori al mondo: se non sono interessato minimamente alla scatola, se la scatola perde ogni valore, non ne rimane che il contenuto intrinseco… Spesso mi capita di ricevere dei messaggi sui social network, che mi invitano ad acquistare dei libri, salvo poi doverli stampare da me, nient’altro quindi che una completa dematerializzazione del prodotto libro… Una strada che in effetti può essere percorsa, soprattutto se si pensa a quanto sta accadendo negli ultimi anni con la musica, il cui ascolto non prevede necessariamente un supporto fisico dedicato. E però, al contrario, si ravvisa anche una crescita enorme del mercato dei dischi in vinile, che porta a riconsiderare il packaging: la scatola diventa quindi il contenuto, il che mette sotto una luce diversa chi fa il tuo mestiere, per via dell’interesse, per esempio, per la rilegatura del libro, per la sua brossura, per il tipo di carta impiegata… Il packaging in questo caso è il libro. Ma attenzione: la situazione complessiva è davvero polarizzata, con un reale disinteresse e un reale interesse, e cercare di convincere della bontà del prodotto chi non è interessato è fiato e tempo sprecati.
LA: Fantastico! Direi di passare alla prossima domanda, che nasce dall’ispirazione che mi hai dato: se tu avessi la bacchetta magica, come sarebbe il libro perfetto che potrebbe vendere milioni di copie?
SZ: Ti riferisce al contenuto o all’estetica del libro?
LA: A entrambi, al libro da considerarsi nel suo insieme, contenuto e scatola. Qual è il libro perfetto, secondo te? Quello che, se tu ne avessi la possibilità, realizzeresti nella certezza che sfonderà, vendendo milioni di copie… Idealmente, per te, come sarebbe fatto, che cosa ci scriveresti?
SZ: Parli con uno che è completamente delineato dall’amore per i libri, mi piacciono tutti, per quel che mi riguarda sono tutti belli… Ho un amore sviscerato per i libri. Ma per risponderti: un libro che mi piace tantissimo è quello scritto da Barak Obama e Bruce Springsteen [RENEGADES. Born in the USA], un libro grande, la perfetta combinazione di ispirazione, contenuti ed estetica, che parla continuamente di futuro, nonostante i suoi autori siano un po’ âgée… Anche l’enciclopedia illustrata che avevo da ragazzo, con la copertina di tela rossa con la scritta in caratteri d’oro conoscere, e con la sopra copertina che riportava tutte le grandi opere realizzate dall’uomo, per me resta un libro perfetto, per ciò che rappresenta, per la mia emotività… Ma in realtà sono tantissimi i libri che reputo perfetti, anche libri piccoli, che porto con me da sempre, come Il venditore meraviglioso, per esempio…
LA: Ah, fantastico, Frank Bettger!
SZ: Sì… La tua è una domanda a cui faccio una fatica immensa a rispondere, amo troppo i libri… Per intendersi, io a casa mia conservo ancora tutti, e dico tutti, i libri che ho avuto da che ho ricordo di essere al mondo, ce li ho veramente tutti, anche i libri di scuola… Il mio garage strabocca di libri! Ho il feticismo per i libri! Hai beccato la persona sbagliata per chiedergli qual è il libro perfetto…
LA: Ma chissà perché c’è questo amore per i libri… Sono andato a Londra a trovare Klaus Flugge, che è l’editore di Andersen Press, una persona anziana, ha ormai 86 anni, e mi ha ospitato nel suo flat… Zeppo di libri, dappertutto libri! Poi siamo andati a casa sua, e anche lì libri ovunque… Certo, fa l’editore… Ma io gli ho chiesto proprio perché avesse libri praticamente dappertutto, e la sua risposta è stata Because I love books! Che suona un po’ come che domande mi fai, io amo i libri, è ovvio… Sì, d’accordo, ma perché? Me lo chiedo spesso, perché anche io ho libri in ogni dove…
Bene, parliamo di Guerra o pace: hai appena pubblicato il tuo ultimo libro con Roi Edizioni, Guerra o pace, ce ne vuoi parlare?
SZ: Bastano poche parole… Guerra o pace è il secondo libro che pubblico con Roi Edizioni, è dedicato a un tema per me molto importante, che rappresenta buona parte dell’attività che svolgo in azienda, ovvero il tentativo di creare un contesto nel quale i conflitti, comunque presenti, possano essere gestiti e riutilizzati in maniera virtuosa, per il bene di chi dell’azienda è proprietario e per chi ne è dipendente. Si tratta di un libro nato dopo anni di ricerche, che oltre a essere incentrato su alcuni metodi per gestire e riutilizzare il conflitto, propone un cambio di paradigma proprio nei confronti del conflitto stesso: nella nostra cultura il conflitto viene inteso come guerra, danneggiamento dell’altro, anche addirittura a proprio discapito, mentre, dal mio punto di vista, per le aziende il conflitto è necessario, è un attrito tra posizioni differenti, perché tutte le parti in causa sono interessate a una maggiore efficienza, producendo quindi delle istanze diverse, logistica, commerciale, e via dicendo… E solo attraverso l’attrito tra posizioni differenti si ha la possibilità di trovare una soluzione creativa, intelligente, di cui tutti possano beneficiare. Bisogna quindi cambiare il paradigma del conflitto, vivere il conflitto virtuosamente, imparare a stare nella conflittualità, avendo sempre in mente l’interesse più grande, dell’insieme. Che in sostanza non vuol dire abdicare dalla propria posizione, ma anzi sostenerla cercando di capire anche quella altrui, e in definitiva trovare la migliore soluzione, accettabile e condivisibile.
LA: Sulla scelta del titolo, come è avvenuta tra te e l’editore? Guerra o pace sembra fare l’occhiolino a Guerra e pace [Lev Tolstoj]…
SZ: L’idea iniziale era un po’ spiritosa, come a dire facciamo il verso a Guerra e pace… Guerra o pace perché in azienda si ha la percezione che debba esserci la pace e ci si ritrova invece a far la guerra… Ma questa idea risale a diversi mesi fa, quando ho proposto il titolo all’editore non c’era ancora la guerra [in Ucraina], il tema della guerra non era sul tavolo, e a guerra scoppiata il titolo era già in produzione e non è stato possibile cambiarlo. In realtà ci siamo chiesti se cambiarlo o se mantenerlo: non volevamo che si pensasse a una mossa di marketing, quando in verità si è solo trattato di una coincidenza, è stato tutto fortuito. La conflittualità è a pensarci bene un segno dei tempi, è in aumento, ma bisogna comprendere che non va rigettata, da rigettare è invece la guerra, ampiamente. Ci sono sempre interessi e visioni diverse, il conflitto non si può eliminare, e non a caso i totalitarismi pretendono che si dica che in casa loro c’è sempre la pace, che nessuno la pensa diversamente, tutti la pensano alla stessa maniera… E lo pretendono col bastone; così stanno le cose.
LA: Sì, non è vero che tutti la pensino alla stessa maniera…
SZ: No, appunto, e quindi riconoscere che nelle associazioni umane, in azienda ma anche nelle società, il conflitto sia necessario e ineliminabile è importante, così come è importante sottolineare che da rigettare è invece la guerra, il danneggiamento del prossimo, a volte così caparbio e cattivo da passare anche attraverso il proprio danneggiamento, pur di farti male mi faccio male anche io, come in una certa cultura aziendale che non fa distinzioni, per la quale se tu sei contro di me, io sono contro di te. Bisogna quindi comprendere che nella diversità delle posizioni tra le parti c’è comunque un modo per convivere, una soluzione che contempli le posizioni di tutti, e proprio questo, per quanto mi riguarda, fa la grande differenza, che è il punto a cui vuole arrivare il mio libro.
LA: Bene… Ti va di fare riferimento alla data del 21 maggio, all’incontro al Salone Internazionale del Libro di Torino con Roi Edizioni?
SZ: Sì, sarò lì a parlare con Roberto Borini, che si interessa di crypto valute e bond, di New Economy e così via… Lui ha una sua visione del futuro, mentre a me spetterà di ragionare sul tema della Yolo Economy, su come le persone stiano cambiando la loro percezione del lavoro, e di rimando la vita economica e sociale. E quindi sì, saremo al Salone Internazionale del Libro di Torino il 21 maggio alle 13.45.
LA: Tu sei uomo d’azienda e noi di Grafiche AZ siamo felici di collaborare con te, come nel caso degli incontri Organizzazione, resilienza, nuovi scenari del mercato, l’AZ del futuro; La versione migliore del nostro team; Under Pressure 2.2: parlaci delle persone, dei collaboratori del futuro, di come vedi il mondo dell’impresa… E che consigli daresti ai nostri lettori per prepararsi al futuro?
SZ: Questa è una domanda molto importante, perché i consigli che darei alle persone sono strettamente legati al loro modo di pensare, e anche in questo caso ci troviamo di fronte a un bivio: ci sono persone che stanno cambiando la loro visione della vita, del lavoro, dell’economia, e altre che non la stanno cambiando…
LA: Esatto, è proprio questo il punto.
SZ: Le persone che stanno cambiando la propria visione hanno realizzato come non ci sia più la possibilità di avere qualcuno che abbia il ruolo di garantire e prendersi cura del loro futuro, e quindi sale il livello di responsabilizzazione, e d’altra parte ci sono persone convinte che il mondo continuerà ad andare come è sempre andato, con, per esempio, l’imprenditore che farà ancora l’imprenditore e il dipendente il dipendente, con conseguente diversa spartizione di rischi e profitti. Le prime stanno comprendendo come questo tipo di società si stia orientando verso un’imprenditorialità diffusa, quindi in sostanza verso una certa cancellazione di lavori con redditi e verso retribuzioni intermedie, vertendo ormai quasi tutto sulla performance, e prova ne sia lo smartworking, nel quale a chi lavora viene richiesta la prestazione, a prescindere dal tempo che impiega nel suo lavoro… Naturalmente non sto dando un giudizio, sto facendo una fotografia, perché c’è una parte di mercato che va in questa direzione, così come c’è un altro mercato che va verso un tipo di subordinazione più marcata, nel quale a chi lavora viene chiesto di lavorare poco e di svolgere compiti precisi, con conseguenti retribuzioni molto basse. Quindi, ripeto, c’è chi pensa che il lavoro andrà avanti così come è sempre andato, a mio parere commettendo un errore, e c’è chi pensa che tutto il mondo stia andando incontro a una polarizzazione, con imprenditorialità diffusa o con lavoro subordinato sempre meno qualificato e meno retribuito. E nel mondo che entra in un circolo polarizzato, se decidi per una vita materialmente alta, quindi non concettualmente, filosoficamente, spiritualmente alta, devi metterti in testa che avrai molto da studiare, da approfondire, creando relazioni, diventando quindi molto bravo a risolvere problemi complessi; se invece ti accontenterai di una vita materialmente modesta, probabilmente andrai incontro alla possibilità di lavorare meno, svolgendo anche lavori semplicissimi, magari usufruendo di qualche sussidio statale, per far fronte alla scarsità, alla distruzione di posti di lavoro che l’impiego della tecnologia sta via via comportando, ma avendo d’altra parte a tua disposizione diverse modalità che sapranno comunque come remunerarti, con, per esempio, più tempo per te stesso, meno stress e simili.
LA: Sei stato favoloso, era proprio il punto che volevo affrontare, anche perché il blog e la nostra proposta di comunicazione non vogliono essere solo in stretta correlazione ai libri, al mondo dei libri, ma vogliono parlare anche del mondo di impresa, di azienda, di editoria, di cultura, di evoluzione, di futuro… Essere quindi un hub editoriale, che non si limiti a dire sì, facciamo libri per bambini, che in effetti è il nostro lavoro, e va benissimo, ma che abbia uno spunto in più, di carattere imprenditoriale, esattamente corrispondente a quello che hai appena detto, ovvero cercare di ampliare gli orizzonti, fondamentalmente.
L’ultima domanda è: che consigli daresti a chi desidera scrivere un libro e vedersi pubblicato?
SZ: Intanto gli direi di contattare tante case editrici, tanti autori che hanno già pubblicato, e di cercare di ottenere quante più informazioni possibile, evitando di accettare la proposte del primo che capita: l’editoria, come tanti altri, è un settore con gente molto in gamba e con gente che d’altra parte tende a fare esclusivamente il proprio gioco, e sarebbe un peccato dedicare tempo, passione ed energie per mettere insieme 100, 200, 500 pagine per un libro, o anche 50 pagine di poesia, e vedersele rovinate solo perché si ha avuto a che fare con qualcuno il cui solo interesse è portarsi a casa 1000 euro, e poi chi si è visto si è visto… Così facendo potremmo mancare il prossimo Pulitzer…
LA: Esatto, quello che dici è interessantissimo… Sarebbe un aspetto da approfondire, suggerendo di contattare tante case editrici: i nostri editori ne sarebbero contenti!
SZ: E oltre a contattare le case editrici, si dovrebbe sentire l’esperienza di chi ci ha avuto a che fare… Io, per esempio, sono stato fortunato perché pubblico con Franco Angeli e Roi Edizioni, editori che hanno a cuore davvero la diffusione dei libri… Ma oltre a esser stato fortunato, ci ho messo del mio, cercando di ottenere informazioni prima di accettare qualsiasi proposta: ricordo che la prima casa editrice che era intenzionata a pubblicare il mio libro non lo avrebbe promosso, e sostanzialmente non faceva altro che stamparne le copie, infatti ciò che più importava loro era il numero di copie che sarei stato io ad acquistare… Il che ha sì una sua importanza, ma non può essere la cosa più importante…
LA: Mi vien da pensare al film Limitless, e al suo protagonista, Edward Morra, che in totale crisi di scrittura, prende l’NZT, e dopo inizia a essere particolarmente ispirato… Potrebbe essere un’idea per scrivere e pubblicare in maniera portentosa… È una battuta, anche se non sarebbe affatto male avere la bacchetta magica editoriale!